La
titolarità
di un diritto di
comproprietà su
un immobile
comporta che ogni singolo componente della
comunione vanti un diritto sullo stesso – pro quota – e possa
esercitarlo. Nell'esercizio del predetto
diritto
di proprietà rientra la possibilità, tra le altre, di vendere il
bene ed abbandonare la comunione; ciò
in
quanto,
nessun comproprietario può
impedire all'altro o agli altri di vendere e vedersi
liquidare la propria quota.
Molto
spesso, però, come nel caso in questione, i comproprietari sono in
disaccordo sulla vendita; ecco che allora si profilano due
possibili
soluzioni:
a)
il comproprietario che non voglia vendere il bene acquista la quota
del comproprietario venditore, così liquidando il valore come una
ordinaria compravendita immobiliare. b)
se
il
comproprietario che si oppone alla vendita
non
abbia l’intenzione di rilevare la/e
quota/e
altrui, l’altro
comproprietario
avente
interesse a vendere
può agire giudizialmente incardinando un procedimento di divisione
giudiziale
innanzi
al
Tribunale territorialmente competente, ovvero
a quello dove
si trova l’immobile. Si instaura
così una causa civile a tutti gli effetti, allo scopo di procedere
allo scioglimento della comproprietà/comunione e, quindi, alla
divisione delle quote. Nel corso del processo l’immobile sarà
oggetto
di valutazione a mezzo perizia tecnica
redatta
da un consulente nominato
dal
Tribunale, il quale avrà, altresì, l’incarico di valutare se
sussista o meno la possibilità di una divisione materiale del bene.
L’esito del procedimento, ove non si raggiunga un accordo tra le
parti,
consiste nella vendita all'asta del bene e nella liquidazione del
valore delle rispettive quote. Il
rischio, attraverso
il ricorso a questa procedura, è quello
di vendere il bene a un valore fortemente inferiore a quello
commerciale.
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