Competenze dello Studio

lunedì 14 ottobre 2013

Legge Pinto: il risarcimento da eccessiva durata del processo

I tempi biblici della giustizia italiana non consentono ai cittadini che adiscono la competente autorità giudiziaria di soddisfare velocemente ed integralmente i propri diritti, rimanendo vittime della Giustizia stessa ed intrappolati in processi lunghi, estenuanti e quanto mai dispendiosi. A prescindere da quelli che possono essere stati i motivi che hanno determinato queste lungaggini processuali, è opportuno ricordare come il diritto ad un procedimento celere è persino garantito dall'art. 111 della nostra Costituzione a mente del quale "..ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.." Tale principio è stato recepito dall'art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, il quale statuisce che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge. Nonostante le prescrizioni siano così dettagliate (tanto a livello europeo quanto nazionale) l'Italia le trasgredisce spesso subendo, per questo, frequentemente dei procedimenti sanzionatori da parte della Comunità Europea. Questa situazione ha persuaso il legislatore ad introdurre una disciplina che costituisce sia un deterrente contro i ritardi della macchina processuale, sia una tutela per il cittadino che ne rimane vittima. Tale normativa, nota come Legge Pinto (legge n. 89 del 24.03.2001), riconosce ad ogni cittadino che ha subito un giudizio (di Primo Grado, di Appello o di Cassazione) di durata eccessiva, la possibilità di richiedere il risarcimento del danno per eccessiva durata del processo,  a pena di decadenza, solo entro 6 mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento che conclude in via definitiva il procedimento, mentre non è più possibile agire in pendenza del procedimento. Pertanto anche se il processo durasse 20 anni, il cittadino interessato dovrà attendere la sua conclusione e non potrà più presentare domande risarcitorie prima della sua conclusione. La giurisprudenza ritiene, oggi, adeguato un limite di durata di 3 anni per il processo di primo grado, di 2 anni per il giudizio di appello e di 1 anno per quello innanzi alla Corte di Cassazione; il superamento di tali limiti temporali configura un processo di durata irragionevole, con conseguente possibilità di applicazione della succitata Legge Pinto per ottenere il risarcimento del danno, tanto patrimoniale (riscontrabile oggettivamente e la cui esistenza dovrà essere provata) quanto non patrimoniale (sul presupposto della sua esistenza è prevista un'inversione dell'onere della prova a carico dell'amministrazione convenuta). Circa i criteri di determinazione del quantum del danno, il giudice nazionale ha individuato nell’importo compreso fra Euro 500,00 ed Euro 1.500,00 l'indennizzo spettante a ciascun ricorrente per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi, che superi il termine ragionevole di durata del processo.

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