I
tempi biblici della giustizia italiana non consentono ai cittadini
che adiscono la competente autorità giudiziaria di soddisfare
velocemente ed integralmente i propri diritti, rimanendo vittime
della Giustizia stessa ed intrappolati in processi lunghi, estenuanti
e quanto mai dispendiosi. A prescindere da quelli che possono essere
stati i motivi che hanno determinato queste lungaggini processuali, è
opportuno ricordare come il diritto ad un procedimento celere è
persino garantito dall'art. 111 della nostra Costituzione a mente del
quale "..ogni
processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di
parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura
la ragionevole durata.."
Tale principio è stato recepito dall'art. 6 della Convenzione
Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà
Fondamentali, il quale statuisce che “ogni
persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,
pubblicamente
ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e
imparziale, costituito per legge”.
Nonostante le prescrizioni siano così dettagliate (tanto a livello
europeo quanto nazionale)
l'Italia le trasgredisce spesso subendo, per questo, frequentemente
dei procedimenti sanzionatori da parte della Comunità Europea.
Questa situazione ha persuaso il legislatore ad introdurre una
disciplina che costituisce sia un deterrente contro i ritardi della
macchina processuale, sia una tutela per il cittadino che ne rimane
vittima. Tale normativa, nota come Legge Pinto (legge n. 89 del
24.03.2001), riconosce ad
ogni cittadino che ha subito un giudizio (di Primo Grado, di Appello
o di Cassazione) di durata eccessiva, la possibilità di richiedere
il risarcimento del danno per eccessiva durata
del processo, a pena di decadenza, solo entro
6 mesi dal
passaggio in giudicato del provvedimento che conclude in via
definitiva il procedimento, mentre non
è più possibile agire in pendenza del procedimento. Pertanto anche
se il processo durasse 20 anni, il cittadino interessato dovrà
attendere la sua conclusione e non potrà più presentare
domande risarcitorie prima della sua conclusione.
La
giurisprudenza ritiene, oggi, adeguato un limite di durata di 3 anni
per il processo di primo grado, di 2 anni per il giudizio di appello
e di 1 anno per quello innanzi alla Corte di Cassazione; il
superamento di tali limiti temporali configura un processo di durata
irragionevole, con conseguente possibilità di applicazione della
succitata Legge Pinto per ottenere il risarcimento del danno, tanto
patrimoniale (riscontrabile oggettivamente e la cui esistenza dovrà
essere provata) quanto non patrimoniale (sul presupposto della sua
esistenza è prevista un'inversione dell'onere della prova a carico
dell'amministrazione convenuta). Circa i criteri di determinazione del quantum del danno, il giudice nazionale ha individuato nell’importo
compreso fra Euro 500,00 ed Euro 1.500,00 l'indennizzo spettante a ciascun ricorrente per ogni anno o frazione
di anno superiore a sei mesi, che superi il termine ragionevole di
durata del processo.
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