Competenze dello Studio

martedì 1 ottobre 2024

LA CARTA ELETTRONICA DEL DOCENTE SPETTA ANCHE AGLI INSEGNANTI PRECARI?



La Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche statali, meglio nota come Carta del Docente, è stata introdotta dal D.P.C.M. 23 settembre 2015, in attuazione dell’art. 1, comma 121, della L. 107/2015 (La Buona Scuola). Tale misura assegna annualmente ai docenti di ruolo un bonus pari a € 500,00 da destinare esclusivamente a spese per la formazione e l’aggiornamento professionale. Tuttavia, la normativa nazionale limita l’erogazione del beneficio ai soli docenti assunti con contratto a tempo indeterminato, escludendo quindi i docenti precari, anche laddove impegnati con incarichi annuali e continuativi.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, però, con sentenza del 18 maggio 2023 (C-680/21), ha affermato che i docenti con contratto a tempo determinato svolgono funzioni analoghe, per contenuto e responsabilità, a quelle dei colleghi di ruolo, e pertanto non possono essere discriminati nel trattamento economico e professionale. In particolare, la Corte ha censurato la normativa italiana per la sua irragionevole disparità di trattamento, rilevando che l’esclusione dei docenti a termine dalla Carta del Docente costituisce una violazione della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE.

Alla luce dell’orientamento europeo, anche i docenti precari possono legittimamente rivendicare il diritto a usufruire della Carta del Docente, purché sussistano determinati requisiti. In particolare:

- Attualità del servizio: il docente deve risultare attualmente in servizio presso un’istituzione scolastica statale alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Durata dell’incarico: il servizio pregresso deve essere stato svolto con contratti a tempo determinato di durata significativa: a) incarichi fino al 30 giugno (termine delle attività didattiche); b) incarichi fino al 31 agosto (termine dell’anno scolastico); c) aver svolto servizio per almeno 180 giorni nel corso dell’anno scolastico in maniera continuativa e, preferibilmente, presso il medesimo istituto scolastico

Si ricorda inoltre che il diritto al riconoscimento economico è soggetto a prescrizione quinquennale.

Ciò detto, ogni situazione è unica e richiede una valutazione caso per caso per verificare la ricorrenza di tutti i presupposti, non soltanto quelli principali predetti, necessari per procedere legalmente. In tal senso, lo Studio Legale Magrini si è fatto portatore, su tutto il territorio nazionale, degli interessi di numerosi docenti precari a cui non era stato riconosciuto il diritto alla Carta del Docente. L’attività dello Studio ha portato sempre al riconoscimento del beneficio, contribuendo a rafforzare l’orientamento favorevole all’equiparazione di trattamento tra docenti precari e di ruolo.


sabato 17 ottobre 2020

SE L'INQUILINO E' IRREPERIBILE, COME DEVE COMPORTARSI IL PROPRIETARIO DI CASA ?

Accade sovente che il soggetto extracomunitario, al quale è stato concesso un appartamento in locazione, torni al proprio paese nativo senza corrispondere i canoni di locazione arretrati e, soprattutto, senza riconsegnare le chiavi dell’immobile. Molti proprietari-locatori, di fronte a tale situazione, pensano sia un loro diritto tornare in possesso dell'immobile facendosi giustizia da sé, forzando o sostituendo la serratura della porta di accesso oppure dando disdetta dei contratti di somministrazione delle forniture.  Niente di più sbagliato in quanto, anche in tali circostanze, l'unico rimedio per poter tornare in possesso del bene è quello di incardinare in Tribunale una procedimento di sfratto per morosità; essendovi un regolare contratto di locazione, infatti, qualora l’inquilino facesse rientro in Italia e pretendesse la consegna dell’appartamento, egli, sebbene moroso, in assenza di un provvedimento del giudice di convalida di sfratto e di un verbale di immissione in possesso in favore del locatore redatto dall’ufficiale giudiziario, avrebbe diritto a conservare la detenzione dell’immobile. La condotta del proprietario di casa che, dunque, accede al proprio appartamento locato in assenza di un provvedimento giurisdizionale di rilascio eseguito dall'ufficiale giudiziario è sanzionabile penalmente; più precisamente, il rischio sarebbe quello di esporsi ad una denuncia-querela per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e/o per quello di violazione di domicilio.

venerdì 20 marzo 2020

La violazione delle misure contenute nei decreti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza da COVID-19

I decreti emessi negli ultimi giorni dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, recanti misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 prevedono, per le violazioni delle misure in essi contenute, l’imputazione per il reato contravvenzionale punito e previsto dall'art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità), a mente del quale "chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206".
Detta fattispecie di reato si configura, nel caso di specie, in caso di spostamenti ingiustificati sia all’interno del proprio comune di residenza, sia, soprattutto, al di fuori di esso; sono giustificati soltanto quegli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, spostamenti per motivi di salute, rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Il divieto di spostarsi è categorico per soggetti positivi al COVID-19 o in quarantena.
Coloro che attestano, in modo non veritiero, una delle tre cause che permettono di spostarsi (motivi di salute, esigenze lavorative, altri stati di necessità) sarà denunciato per il reato più grave di falsa attestazione a un pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 495 c.p., il quale punisce con la reclusione da uno a sei anni chiunque dichiara o attesta falsamente l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona.

martedì 7 maggio 2019

Recupero credito: chi paga le spese dell'avvocato?

L'attività di recupero del credito, come già detto altre volte, è la procedura attraverso cui il creditore, in caso di mancato pagamento spontaneo da parte del debitore, richiede al giudice che il credito venga accertato giudizialmente affinché possa essere recuperato coattivamente. Ma chi sostiene le spese legali in questa procedura? Due sono le possibili ipotesi:
1) In caso di recupero credito positivo, il debitore paga sia la somma dovuta al creditore, sia le spese legali (spese vive e compenso professionale); in tal caso, il Cliente non dovrà sostenere alcun costo.
2) In caso di recupero credito non andato a buon fine, il Cliente dovrà sostenere sia le spese vive che il compenso professionale del legale; pertanto, è buona consuetudine che il legale accerti, fin da subito, la reale capacità economica del debitore attraverso una preliminare indagine patrimoniale. 
Avvocato e Cliente possono, comunque, convenire fin dall'inizio il compenso professionale dovuto, attraverso la stipulazione di una scrittura privata di conferimento di incarico professionale.