La Suprema Corte di Cassazione, con una pronuncia degli ultimi giorni, ha affermato che lo stato di specializzando del figlio non configura una situazione di precarietà economica, in quanto tale attività presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra le altre cose, offre concrete prospettive di impiego, in quanto consente di esercitare la libera professione intramoenia: con quest'ultimo termine, si intende far riferimento a tutte quelle prestazioni erogate all'infuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, attraverso l'utilizzo degli ambulatori presenti nello stesso ente a fronte del pagamento da parte del paziente, dietro rilascio di fattura, di una tariffa prestabilita. Alla suddetta pronuncia la Corte è pervenuta dopo essere stata chiamata a pronunciarsi sull'obbligo o meno, a carico di un coniuge separato, di corrispondere al figlio un assegno di mantenimento nel mentre quest'ultimo aveva in corso un contratto di specializzazione in medicina (nella fattispecie, l'uomo ricorreva in Cassazione sostenendo l'errata equiparazione di quanto percepito dalla figlia ad una borsa di studio).
Possono
tirare un respiro di sollievo molti di quei padri separati costretti a
mantenere anche i figli maggiorenni senza un lavoro, per così dire,
“stabile”.
Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
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Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
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Il figlio laureato in medicina perde il diritto al mantenimento, se retribuito in base a un contratto di formazione specialistica.
Possono tirare un respiro di sollievo molti di quei padri separati costretti a mantenere anche i figli maggiorenni senza un lavoro, per così dire, “stabile”.
Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
Tale pronuncia è conforme al principio generale secondo cui l’obbligo del genitore (separato o divorziato) di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni termina quando questi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e, tra l’altro, non rinasce se i figli perdono il lavoro (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Mantenimento negato al figlio maggiorenne che può lavorare”).
Con questa sentenza, però, i Supremi giudici specificano qualcosa di più: il compenso corrisposto allo specializzando in base ad un contratto di formazione specialistica pluriennale non si può qualificare come una semplice borsa di studio (come tale avente carattere precario), bensì come un lavoro stabile, così mettendo la parola fine alla possibile insorgenza di dubbi sul tema.
Il venir meno del dovere dei genitori al mantenimento della prole dopo la separazione non opera tuttavia in modo automatico. In questi casi, infatti, chi è tenuto a versare l’assegno può chiedere al giudice di esentarlo o di ridurne il relativo importo, dimostrando la sopravvenuta autonomia del figlio.
Tale prova sarà a carico del figlio quando questi ha raggiunto un’età tale da non poter più essere considerato un ragazzo (si pensi a un quarantenne); in tal caso egli dovrà dar prova di aver fatto tutto il possibile per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, commisurata alle sue concrete capacità e aspirazioni [4].
La vicenda
La Corte di Appello aveva ingiunto a un padre divorziato il pagamento di 450 euro mensili per il mantenimento della figlia specializzanda in medicina (con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno) e convivente con la madre.
L’uomo sosteneva che tale pronuncia si basasse sulla erronea equiparazione ad una borsa di studio di quanto percepito dalla figlia e quindi sulla esclusione della natura retributiva di tale compenso.
La Cassazione accoglieva in pieno la tesi dell’uomo, revocando l’obbligo al mantenimento della giovane.
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Il figlio laureato in medicina perde il diritto al mantenimento, se retribuito in base a un contratto di formazione specialistica.
Possono tirare un respiro di sollievo molti di quei padri separati costretti a mantenere anche i figli maggiorenni senza un lavoro, per così dire, “stabile”.
Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
Tale pronuncia è conforme al principio generale secondo cui l’obbligo del genitore (separato o divorziato) di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni termina quando questi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e, tra l’altro, non rinasce se i figli perdono il lavoro (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Mantenimento negato al figlio maggiorenne che può lavorare”).
Con questa sentenza, però, i Supremi giudici specificano qualcosa di più: il compenso corrisposto allo specializzando in base ad un contratto di formazione specialistica pluriennale non si può qualificare come una semplice borsa di studio (come tale avente carattere precario), bensì come un lavoro stabile, così mettendo la parola fine alla possibile insorgenza di dubbi sul tema.
Il venir meno del dovere dei genitori al mantenimento della prole dopo la separazione non opera tuttavia in modo automatico. In questi casi, infatti, chi è tenuto a versare l’assegno può chiedere al giudice di esentarlo o di ridurne il relativo importo, dimostrando la sopravvenuta autonomia del figlio.
Tale prova sarà a carico del figlio quando questi ha raggiunto un’età tale da non poter più essere considerato un ragazzo (si pensi a un quarantenne); in tal caso egli dovrà dar prova di aver fatto tutto il possibile per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, commisurata alle sue concrete capacità e aspirazioni [4].
La vicenda
La Corte di Appello aveva ingiunto a un padre divorziato il pagamento di 450 euro mensili per il mantenimento della figlia specializzanda in medicina (con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno) e convivente con la madre.
L’uomo sosteneva che tale pronuncia si basasse sulla erronea equiparazione ad una borsa di studio di quanto percepito dalla figlia e quindi sulla esclusione della natura retributiva di tale compenso.
La Cassazione accoglieva in pieno la tesi dell’uomo, revocando l’obbligo al mantenimento della giovane.
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Possono
tirare un respiro di sollievo molti di quei padri separati costretti a
mantenere anche i figli maggiorenni senza un lavoro, per così dire,
“stabile”.
Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
Tale pronuncia è conforme al principio generale secondo cui l’obbligo del genitore (separato o divorziato) di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni termina quando questi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e, tra l’altro, non rinasce se i figli perdono il lavoro (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Mantenimento negato al figlio maggiorenne che può lavorare”).
Con questa sentenza, però, i Supremi giudici specificano qualcosa di più: il compenso corrisposto allo specializzando in base ad un contratto di formazione specialistica pluriennale non si può qualificare come una semplice borsa di studio (come tale avente carattere precario), bensì come un lavoro stabile, così mettendo la parola fine alla possibile insorgenza di dubbi sul tema.
Il venir meno del dovere dei genitori al mantenimento della prole dopo la separazione non opera tuttavia in modo automatico. In questi casi, infatti, chi è tenuto a versare l’assegno può chiedere al giudice di esentarlo o di ridurne il relativo importo, dimostrando la sopravvenuta autonomia del figlio.
Tale prova sarà a carico del figlio quando questi ha raggiunto un’età tale da non poter più essere considerato un ragazzo (si pensi a un quarantenne); in tal caso egli dovrà dar prova di aver fatto tutto il possibile per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, commisurata alle sue concrete capacità e aspirazioni [4].
La vicenda
La Corte di Appello aveva ingiunto a un padre divorziato il pagamento di 450 euro mensili per il mantenimento della figlia specializzanda in medicina (con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno) e convivente con la madre.
L’uomo sosteneva che tale pronuncia si basasse sulla erronea equiparazione ad una borsa di studio di quanto percepito dalla figlia e quindi sulla esclusione della natura retributiva di tale compenso.
La Cassazione accoglieva in pieno la tesi dell’uomo, revocando l’obbligo al mantenimento della giovane.
Tale retribuzione, infatti, non si può qualificare come un contratto di tipo precario, bensì a tempo pieno.
Pertanto, in presenza di tale condizione, il genitore tenuto al mantenimento potrà rivolgersi al tribunale per chiedere di essere esonerato da detto versamento, dimostrando la sopravvenuta autonomia economica del figlio.
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Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
Tale pronuncia è conforme al principio generale secondo cui l’obbligo del genitore (separato o divorziato) di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni termina quando questi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e, tra l’altro, non rinasce se i figli perdono il lavoro (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Mantenimento negato al figlio maggiorenne che può lavorare”).
Con questa sentenza, però, i Supremi giudici specificano qualcosa di più: il compenso corrisposto allo specializzando in base ad un contratto di formazione specialistica pluriennale non si può qualificare come una semplice borsa di studio (come tale avente carattere precario), bensì come un lavoro stabile, così mettendo la parola fine alla possibile insorgenza di dubbi sul tema.
Il venir meno del dovere dei genitori al mantenimento della prole dopo la separazione non opera tuttavia in modo automatico. In questi casi, infatti, chi è tenuto a versare l’assegno può chiedere al giudice di esentarlo o di ridurne il relativo importo, dimostrando la sopravvenuta autonomia del figlio.
Tale prova sarà a carico del figlio quando questi ha raggiunto un’età tale da non poter più essere considerato un ragazzo (si pensi a un quarantenne); in tal caso egli dovrà dar prova di aver fatto tutto il possibile per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, commisurata alle sue concrete capacità e aspirazioni [4].
La vicenda
La Corte di Appello aveva ingiunto a un padre divorziato il pagamento di 450 euro mensili per il mantenimento della figlia specializzanda in medicina (con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno) e convivente con la madre.
L’uomo sosteneva che tale pronuncia si basasse sulla erronea equiparazione ad una borsa di studio di quanto percepito dalla figlia e quindi sulla esclusione della natura retributiva di tale compenso.
La Cassazione accoglieva in pieno la tesi dell’uomo, revocando l’obbligo al mantenimento della giovane.
In pratica
La condizione di autosufficienza economica del figlio maggiorenne – necessaria a far cessare l’obbligo a carico del genitore di versare il mantenimento per quest’ultimo – si considera raggiunta quando il figlio sia un medico che percepisce un compenso sulla base di un contratto di formazione specialistica pluriennale.Tale retribuzione, infatti, non si può qualificare come un contratto di tipo precario, bensì a tempo pieno.
Pertanto, in presenza di tale condizione, il genitore tenuto al mantenimento potrà rivolgersi al tribunale per chiedere di essere esonerato da detto versamento, dimostrando la sopravvenuta autonomia economica del figlio.
Possono
tirare un respiro di sollievo molti di quei padri separati costretti a
mantenere anche i figli maggiorenni senza un lavoro, per così dire,
“stabile”.
Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
Tale pronuncia è conforme al principio generale secondo cui l’obbligo del genitore (separato o divorziato) di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni termina quando questi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e, tra l’altro, non rinasce se i figli perdono il lavoro (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Mantenimento negato al figlio maggiorenne che può lavorare”).
Con questa sentenza, però, i Supremi giudici specificano qualcosa di più: il compenso corrisposto allo specializzando in base ad un contratto di formazione specialistica pluriennale non si può qualificare come una semplice borsa di studio (come tale avente carattere precario), bensì come un lavoro stabile, così mettendo la parola fine alla possibile insorgenza di dubbi sul tema.
Il venir meno del dovere dei genitori al mantenimento della prole dopo la separazione non opera tuttavia in modo automatico. In questi casi, infatti, chi è tenuto a versare l’assegno può chiedere al giudice di esentarlo o di ridurne il relativo importo, dimostrando la sopravvenuta autonomia del figlio.
Tale prova sarà a carico del figlio quando questi ha raggiunto un’età tale da non poter più essere considerato un ragazzo (si pensi a un quarantenne); in tal caso egli dovrà dar prova di aver fatto tutto il possibile per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, commisurata alle sue concrete capacità e aspirazioni [4].
La vicenda
La Corte di Appello aveva ingiunto a un padre divorziato il pagamento di 450 euro mensili per il mantenimento della figlia specializzanda in medicina (con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno) e convivente con la madre.
L’uomo sosteneva che tale pronuncia si basasse sulla erronea equiparazione ad una borsa di studio di quanto percepito dalla figlia e quindi sulla esclusione della natura retributiva di tale compenso.
La Cassazione accoglieva in pieno la tesi dell’uomo, revocando l’obbligo al mantenimento della giovane.
Tale retribuzione, infatti, non si può qualificare come un contratto di tipo precario, bensì a tempo pieno.
Pertanto, in presenza di tale condizione, il genitore tenuto al mantenimento potrà rivolgersi al tribunale per chiedere di essere esonerato da detto versamento, dimostrando la sopravvenuta autonomia economica del figlio.
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Questo perché, secondo una pronuncia della Cassazione di pochi giorni fa [1], non spetta alcun assegno di mantenimento all’ex coniuge per il figlio convivente quando quest’ultimo abbia in corso un contratto di specializzazione in medicina.
Per la Suprema Corte, infatti, lo stato di specializzando rappresenta una condizione cui non si può attribuire una “natura precaria”, in quanto da essa scaturiscono concrete possibilità di lavoro per via del numero chiuso delle specializzazioni. In altre parole, tale attività [2] presenta tutte le caratteristiche di un lavoro a tempo pieno che, tra l’altro, offre concrete prospettive di impiego poiché permette di esercitare la libera professione intramoenia [3].
Tale pronuncia è conforme al principio generale secondo cui l’obbligo del genitore (separato o divorziato) di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni termina quando questi hanno raggiunto l’autosufficienza economica e, tra l’altro, non rinasce se i figli perdono il lavoro (ne abbiamo parlato in questo articolo: “Mantenimento negato al figlio maggiorenne che può lavorare”).
Con questa sentenza, però, i Supremi giudici specificano qualcosa di più: il compenso corrisposto allo specializzando in base ad un contratto di formazione specialistica pluriennale non si può qualificare come una semplice borsa di studio (come tale avente carattere precario), bensì come un lavoro stabile, così mettendo la parola fine alla possibile insorgenza di dubbi sul tema.
Il venir meno del dovere dei genitori al mantenimento della prole dopo la separazione non opera tuttavia in modo automatico. In questi casi, infatti, chi è tenuto a versare l’assegno può chiedere al giudice di esentarlo o di ridurne il relativo importo, dimostrando la sopravvenuta autonomia del figlio.
Tale prova sarà a carico del figlio quando questi ha raggiunto un’età tale da non poter più essere considerato un ragazzo (si pensi a un quarantenne); in tal caso egli dovrà dar prova di aver fatto tutto il possibile per trovare una collocazione nel mondo del lavoro, commisurata alle sue concrete capacità e aspirazioni [4].
La vicenda
La Corte di Appello aveva ingiunto a un padre divorziato il pagamento di 450 euro mensili per il mantenimento della figlia specializzanda in medicina (con un contratto di cinque anni e un compenso di 22.700 euro l’anno) e convivente con la madre.
L’uomo sosteneva che tale pronuncia si basasse sulla erronea equiparazione ad una borsa di studio di quanto percepito dalla figlia e quindi sulla esclusione della natura retributiva di tale compenso.
La Cassazione accoglieva in pieno la tesi dell’uomo, revocando l’obbligo al mantenimento della giovane.
In pratica
La condizione di autosufficienza economica del figlio maggiorenne – necessaria a far cessare l’obbligo a carico del genitore di versare il mantenimento per quest’ultimo – si considera raggiunta quando il figlio sia un medico che percepisce un compenso sulla base di un contratto di formazione specialistica pluriennale.Tale retribuzione, infatti, non si può qualificare come un contratto di tipo precario, bensì a tempo pieno.
Pertanto, in presenza di tale condizione, il genitore tenuto al mantenimento potrà rivolgersi al tribunale per chiedere di essere esonerato da detto versamento, dimostrando la sopravvenuta autonomia economica del figlio.
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