"Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa". In pratica, chi perde la causa deve pagare alla controparte le spese legali sostenute per affrontare il giudizio. E' una regola prevista espressamente nel nostro codice civile ma, in materia di infrazioni al codice della strada, questa viene quasi sempre disattesa: il cittadino che si vede accogliere dal giudice il ricorso avverso una multa è tenuto a pagare le spese legali proprie; il cittadino, invece, che si vede respingere il ricorso, nella maggioranza dei casi, è tenuto a sopportare le spese legali proprie e della controparte. Dunque, perché se esco "vincitore" le spese vengono compensate mentre se esco "sconfitto" le spese seguono il criterio della soccombenza? Questo inspiegabile orientamento porta giustamente il cittadino a rinunciare a tutelare i propri diritti, soprattutto quando sono in gioco somme esigue. Nel 2007 la Corte di Cassazione intervenne ad affermare il principio secondo cui "le spese legali non possono essere compensate in caso di accoglimento del ricorso"; questo perché lasciare a carico del cittadino il costo delle spese legali significherebbe comunque sanzionarlo anche in caso di riconoscimento del proprio diritto all'annullamento della sanzione stessa. Nonostante questa pronuncia, ogni giudice continua ad avere un proprio orientamento personale senza una motivazione. Negli ultimi giorni la Cassazione ha leggermente alleviato tale situazione. La pubblica amministrazione, infatti, è solita difendersi in giudizio, in deroga alla legge generale, senza l'assistenza di un avvocato ma semplicemente con un proprio funzionario. Da oggi, però, ogni qualvolta l'ente si difenderà autonomamente e non con un avvocato, l'automobilista che perda il ricorso contro la multa non dovrà più pagare le spese legali e processuali della controparte, ma le stesse dovranno essere compensate.
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