Oggigiorno
sono purtroppo frequenti e in continua crescita i casi di violenza
sulle donne; quello che fa più scalpore è che nella stragrande
maggioranza delle situazioni l'aggressore si cela tra le mura
domestiche. Solo con la legge n. 66/1996 si è arrivati ad introdurre
nel nostro codice penale, all'art. 609bis, la fattispecie di
reato “violenza sessuale” volta a reprimere tutti quei
comportamenti idonei ad
incidere attraverso un costringimento psico-fisico sulla libertà di
autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale. Non
rileva a tal fine l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale
atteso che non esiste all'interno di un tale legame un “diritto
all'amplesso”, né conseguentemente il potere di esigere o di
imporre una prestazione sessuale. Il reato di violenza sessuale si configura, infatti, non soltanto quando il marito utilizzi
modalità irrispettose nei riguardi della moglie per ottenere
prestazioni sessuali ma anche e soprattutto quando mette in atto un vero e proprio regime dispotico connotato
da vessazioni, arroganza, proibizioni ed imposizioni di ogni genere. Il marito non ha alcun diritto
di pretendere prestazioni sessuali dalla moglie, seppur coniugati. Questa ben potrebbe presentare una querela, trattandosi di reato attinente la sfera prettamente
personale; rispetto alla disciplina generale, la querela necessaria
per la persecuzione di tali reati deve essere proposta nel termine di
sei mesi dal giorno in cui il delitto è stato commesso. Inoltre, la stessa potrebbe, altresì, avanzare innanzi al tribunale civile richiesta di
separazione con addebito, in ragione
dei maltrattamenti subiti.
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